Andare per mare, per conoscere la terra



domenica 17 marzo 2019

Cile - La risalita dei canali: da Puerto Williams a Puerto Montt




I PAZ soddisfatti a Puerto Montt. 
Si, dopo quasi 4 mesi e oltre 3.000 miglia di navigazione alle latitudini dei 40 ruggenti e dei 50 urlanti abbiamo completato il giro della Patagonia e Terra del Fuoco.
Siamo ormeggiati al Marina Oxxean, dove ci fermeremo qualche giorno per riposarci e prepararci per la traversata verso la Polinesia Francese, via Juan Fernandéz e l’Isola di Pasqua.
Dopo la discesa lungo la costa atlantica della Patagonia Argentina, le tappe a Ushuaia, Puerto Williams, i ghiacciai del Canale di Beagle ed una puntata a Capo Horn, a fine gennaio abbiamo cominciato la risalita dei canali cileni fino a Puerto Montt. 
La definizione di “risalita” calza a pennello con la navigazione verso Nord nei canali. I venti prevalenti, originati dalle depressioni antartiche che si susseguono a ciclo quasi continuo, vengono da ponente e si infilano nei canali con il risultato che, se si è diretti verso il Pacifico, ci si trova a navigare con vento e corrente prevalentemente contrari. Insomma non è proprio un godimento dal punto di vista velistico. Il piacere di percorrere queste 1.500 miglia è un altro e lo si intuisce già solo guardando la geografia del luogo.

Tratta da Patagonia & Tierra del Fuego Nautical Guide - G. Ardrizzi, M. Roflo - Ed Nutrimenti

È come fare un lungo trekking in un labirinto di vallate. Sì, il paesaggio, le condizioni climatiche, l’isolamento, inducono senza dubbio a fare un parallelo con la montagna. Anche fermarsi per la notte nelle piccole calette protette tra gli alberi, dà la stessa sensazione di pace e di sicurezza che si prova quando si arriva ad un rifugio dopo una lunga camminata.
Percorrere questo dedalo di canali con gli strumenti oggi a disposizione, la cartografia, pur imprecisa, le immagini satellitari, le guide nautiche, ci porta spesso a riflettere sulla riconoscenza che dobbiamo agli esploratori che in passato hanno mappato queste zone: Ferdinando Magellano che nel ‘500 ha esplorato e scoperto per primo il collegamento tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico attraverso lo Stretto che porta il suo nome, oppure Charles Darwin con il capitano Fitzroy, che nel ‘800 hanno navigato il canale di Beagle, per poi risalire lungo la stessa rotta che oggi percorriamo con la ZoomaX.

In questo contesto vorremmo anche citare Giorgio Ardrizzi, anche se siamo sicuri lui considererà questo parallelismo per lo meno azzardato, che in queste acque ha navigato per 16 anni con Mariolina Rolfo ed insieme hanno prodotto una guida nautica per i diportisti di un tale livello di accuratezza da rendere la navigazione molto più sicura e godibile, Patagonia & Tierra del Fuego Nautical Guide (Ed. Nutrimenti); hanno scoperto decine di ancoraggi, li hanno collaudati e mappati personalmente con disegni descrittivi, sopperendo così anche alle lacune della cartografia. Un lavoro straordinario, arricchito da un  compendio sulla fauna e la flora dell’area e da un interessante approfondimento sulla storia e sulle tribù indigene, ormai quasi estinte.


Esempio della descrizione di uno degli ancoraggi dove abbiamo fatto tappa

Abbiamo tracciato in rosso la rotta percorsa da ZoomaX sui disegni tratti dalla guida nautica di G. Ardrizzi e M. Rolfo, evidenziando con un riquadro bianco il tratto in questione.


Partiamo da Puerto Williams il 31 gennaio, insieme a Monica e Danilo, l’alba che ci accoglie sul Canale di Beagle sembra un quadro.


Ripercorriamo il canale verso ovest e, prima di raggiungere la zona dei ghiacciai, facciamo una sosta a Caleta Olla. Un’escursione a piedi ci porta ad avere una vista privilegiata sul Beagle e sulle montagne, nonostante il brutto tempo. 




Il tappeto muschioso impregnato d’acqua su cui camminiamo è un’esplosione di fiori e di colori.









Siamo proprio nel tratto di canale che Charles Darwin, quasi due secoli fa, descrisse con precisione nel suo ‘Viaggio di un Naturalista intorno al mondo’: “Al mattino presto arrivammo al punto in cui il Canale Beagle si divide in due bracci: entrammo nel braccio settentrionale. Qui lo scenario si fece più grandioso che mai. Le alte montagne sul lato nord formano l’ossatura granitica, o spina dorsale della regione, e si alzano ardite a mille-milleduecento metri d’altezza, con una vetta che supera i duemila metri. Sono ricoperte da un ampio manto di nevi perenni e numerose cascate versano le loro acque, attraverso i boschi, dentro lo stretto canale sottostante. In molti luoghi stupendi ghiacciai scendono dai fianchi delle montagne fino al livello dell’acqua. È difficile immaginare qualcosa di più bello del blu berillo di questi ghiacciai che spicca contro il bianco smorto delle sovrastanti distese di neve. Grandi frammenti distaccatisi dal ghiacciaio e caduti nell’acqua s’allontanavano alla deriva, e il canale popolato da questi iceberg presentava, per un tratto lungo un miglio, l’aspetto di un mare polare in miniatura.”


Riproviamo a raggiungere il ghiacciaio del braccio ovest del Seno Pia. La prima volta l'avevamo trovato ostruito dal ghiaccio ed anche il secondo tentativo, purtroppo, non ci consente di avvicinarci molto di più.
 




Alla fine del Canale di Beagle dobbiamo  affrontare un tratto di mare esposto alle onde oceaniche, il Canal Ballenero e la Bahia Desolada. Aspettiamo le condizioni favorevoli a ridosso di un’isoletta, Isla del Medio; si tratta di un piccolo bacino a cui si accede da un passaggio talmente stretto e pieno di kelp che non ci fidiamo ad entrare con la barca senza dare prima un’occhiata. Monica e Danilo fanno un sopralluogo con il tender, noi aspettiamo fuori con la ZoomaX finché ci confermano via VHF l’ok ad entrare. È una bellissima piscina naturale. Facendo due passi sull’isola riusciamo anche a monitorare le condizioni del mare.


Abbiamo la fortuna di percorrere Il Canal Ballenero in una delle rare giornate di bel tempo che letteralmente svelano l’incredibile paesaggio.




La vista sul Monte Sarmiento è spettacolare ed inevitabilmente il pensiero va a Padre Alberto De Agostini, il missionario salesiano piemontese che unì alla vocazione per la fede una grande passione per l’esplorazione e l’alpinismo. Nella prima metà del ‘900 divenne uno dei massimi conoscitori della Patagonia e della Terra del Fuoco, ed organizzò la prima spedizione sul Monte Sarmiento.


In quella magnifica giornata di sole raggiungiamo uno degli ancoraggi più suggestivi del nostro viaggio, Caleta Brecknock. Si trova all’estremità occidentale della Terra del Fuoco, nel Canal Ocasiòn. Il paesaggio cambia, la poca vegetazione cresce solo nei piccoli anfratti protetti dal vento, le isole sono perlopiù costituite da rocce granitiche con una conformazione più dolce e liscia rispetto agli aspri pendii lungo il canale di Beagle.
L’arrivo è indimenticabile per la bellezza del luogo. In fondo al fiordo, c’è una piccola rada in cui ci infiliamo dopo aver ancorato. Filiamo le nostre cime galleggianti legandole a quattro alberi a terra.  Ormai affrontiamo lo ‘spider-mooring’ con più scioltezza e disinvoltura rispetto ai primi goffi tentativi nella Patagonia Argentina.
Una breve passeggiata su rocce e muschio con rari arbusti a bandiera, ci porta ad un lago. La vista è mozzafiato. La giornata continua ad essere limpida, il cielo senza una nuvola, la temperatura mite, sui 15-16 gradi.






Torniamo in barca solo quando il sole tramonta, e lo spettacolo continua.


Da Caleta Brecknock bisogna decidere dove passare per raggiungere lo Stretto di Magellano. Ci sono tre canali, di cui l’unico autorizzato dall’Armada Cilena è il Canal Magdalena, il più lungo, meno protetto e senza ancoraggi intermedi. Bisogna precisare che l’Armada prevede che ogni imbarcazione segua una rotta prestabilita e che confermi quotidianamente la propria posizione, tramite comunicazione via radio o via mail satellitare. È una procedura un po’ costrittiva ma, giustificata dalle condizioni meteo spesso estreme della zona e dalla sua responsabilità in caso di ricerca e soccorso.
Decidiamo per questa volta di non seguire le regole e passare per il canale Acwalisnan ed il Seno Pedro, spegnendo l’AIS (Automatic Identification System) e cercando di fare il più in fretta possibile.
Da quando siamo partiti abbiamo incontrato soltanto un’altra barca a vela e lo Yahgan, la nave che settimanalmente fa la spola tra Puerto Williams e Punta Arenas. La terza barca la incontriamo proprio in questo tratto, un peschereccio cileno (loro sono autorizzati) che si avvicina, suona la tromba, tutto l’equipaggio è sul ponte a salutarci e scattarci foto…mai voler fare le cose di nascosto!!!


In meno di 24 ore raggiungiamo lo Stretto di Magellano e torniamo sulla rotta autorizzata.
Il tempo intanto si mette al brutto, il Magellano sembra volerci ricordare la sua cattiva fama e per alcuni giorni combattiamo contro il vento forte da ovest, la corrente contraria e la pioggia incessante. Tentiamo comunque di avanzare facendo piccoli tratti giornalieri, arrancando da una rada a quella successiva, fino a raggiungere Isla Carlos III dove la difficoltà della navigazione viene ricompensata dalla vista dell’abbondante fauna marina che popola queste acque. Vediamo gli sbuffi e le code di diverse megattere ed una mangianza di cui stanno approfittando leoni marini ed uccelli. Purtroppo non riusciamo ad avvicinarci per le condizioni proibitive del mare e nemmeno a scattare fotografie.
Finalmente le previsioni meteo mostrano una rotazione del vento a sud. Dobbiamo approfittarne per percorrere le ultime 60 miglia dello Stretto di Magellano. All’inizio il vento è molto variabile, salta dal traverso a dritta al traverso a sinistra, passando da prua e costringendoci a manovrare in continuazione. È un vento rafficato che passa da 5 a 35 nodi nel giro di pochi secondi. Navighiamo con la randa con due mani di terzaroli e la trinchetta, usando anche il motore nei momenti di calma piatta. C’è un continuo passaggio di groppi: li vediamo arrivare da sud, ci passano sulla testa scaricando acqua per 5-10 minuti e poi proseguono la loro corsa verso nord, uno dietro l’altro, ne contiamo una decina. Quando il vento sembra stabilizzarsi un minimo sostituiamo la trinchetta con il fiocco, finché una raffica fa straorzare la ZoomaX, sdraiandola. Quatti quatti rimettiamo la trinchetta fino all’arrivo a Isla Tamar, dove con grande gioia salutiamo lo Stretto di Magellano e ci infiliamo nel Canal Smyth.
 

Lo Smyth è orientato in direzione nord-sud. La nostra speranza è che il vento occidentale si infili nel canale da sud, ma purtroppo non è così, continuiamo ad averlo sul naso. L’ancoraggio più suggestivo in cui ci fermiamo è Caleta Teokita a Puerto Profundo. Entriamo con sospetto in questo mini fiordo, molto stretto e tortuoso, dove sembra impossibile che una barca come ZoomaX possa passarci; invece stando attenti a restare bene in centro, il fondo non sale mai al di sotto dei 6 metri e all’interno ci ritroviamo in una piccola laguna bella e protetta.



Il brutto tempo in questo tratto non ci dà tregua, la pioggia incessante ed il vento forte ci costringono ad intere giornate di sosta. Dal Canal Smyth facciamo una deviazione per Puerto Natales, unico centro abitato nel raggio di centinaia di miglia. L’ultima notte prima di arrivare ancoriamo a Caleta Mousse, accompagnati da un gruppetto di delfini australi o oscuri (propendiamo per il lagenorhynchus obscurus, la pinna dorsale è più chiara ed il collo bianco), che durante l’ancoraggio dimostrano molto interesse per le nostre attività, arrivano a toccare il tender con Monica e Danilo che portano le cime a terra ed osservano da vicino mentre filiamo la catena dell’ancora. Al mattino i delfini sono di nuovo li che ci assistono durante la preparazione per la partenza.
A Puerto Natales Monica e Danilo ci lasciano per tornare a casa. Salutarsi è difficile.  Abbiamo viaggiato insieme per tre mesi, 2.500 miglia di navigazione talvolta impegnativa, vissuta con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo, abbiamo condiviso esperienze indimenticabili, visto posti meravigliosi, raggiunto traguardi importanti; abbiamo avuto momenti di stanchezza, passato lunghe giornate noiose chiusi in barca con un tempo da lupi, talvolta abbiamo avuto approcci diversi alla navigazione ma ne abbiamo sempre discusso in modo costruttivo. Grazie ragazzi, siamo stati bene, ci mancate!


 


Ci rimettiamo in rotta verso nord e approfittiamo del vento debole per risalire gli ampi canali Sarmiento, Pitt, Conception e Wide. Facciamo tappe notturne in alcuni dei tanti piccoli fiordi che incrociano i canali principali e che offrono la protezione della fitta vegetazione. Superiamo in fretta il timore della gestione a due degli ormeggi con le cime a terra. La tecnica che adottiamo è quella di fare un sopralluogo ravvicinato dell’ancoraggio con la barca e poi allontanarci per mettere in acqua il gommone. Una volta che Anna ha identificato gli alberi a cui attaccarsi con le cime, Paolo sulla barca inizia a filare la catena dell’ancora avvicinandosi di poppa al punto prescelto, mentre Anna porta un capo di una cima all’albero sopravento e la lega il più velocemente possibile. Questa operazione non comporta grandi problemi se fatta in alta marea, quando le piante sono facilmente accessibili dal gommone, decisamente più complicata quando la marea è bassa e per raggiungere gli alberi bisogna spesso superare barriere dense di kelp, arrampicarsi su rocce scivolose o sui tronchi, preoccupandosi anche che il gommone nel frattempo non se ne vada… Paolo intanto cerca di tenere la barca in posizione e appena la cima all’albero è legata, fissa l’altro capo alla bitta. Una volta messa la prima, il resto è un gioco da ragazzi, con calma si decide con quante altre cime assicurarsi, in base alle condizioni del vento e alla tenuta dell’ancora.


Il tempo continua ad essere coperto, le nuvole basse ci impediscono di vedere la lunga Cordigliera Patagonica che corre parallela ai canali, poco più ad est, ricoperta dall’immenso Campo De Hielo. Anche in queste condizioni di scarsa visibilità, il paesaggio ha comunque  il suo fascino.
 


Del Campo de Hielo vediamo i frammenti che si staccano dai ghiacciai e galleggiano alla deriva nei canali, molti piccoli, alcuni più grandi.  



Tentiamo di avvicinarci ai ghiacciai dell’Estero Peel e del Seno Eyre, ma la densità dei growlers è tale, già a molte miglia di distanza, da farci desistere.

Nonostante le condizioni di calma di questi giorni, gli avvistamenti di alcuni relitti ci ricordano di non abbassare mai la guardia. Fa sempre impressione vedere le barche finite a scogli. E’ inevitabile immaginare il momento dell’incidente e pensare alle sorti dell’equipaggio. Mette tristezza.




Arriviamo a Puerto Eden, un piccolo villaggio di pescatori, con un centinaio di abitanti. È raggiungibile solo via mare, non ci sono automobili. L’unico collegamento con il resto del paese, è il traghetto  che fa la spola tra Puerto Natales e Puerto Montt, che passa un paio di volte alla settimana. È considerato il centro urbano più piovoso al mondo. Le piccole casette di lamiera colorata sono disposte lungo la baia e servite da una passerella di legno che evita di camminare nel fango perenne. 

 

La popolazione è in maggioranza di origine Alacaluf, i nativi di questa parte di Patagonia, ormai quasi estinti. Portiamo in regalo  l’abbigliamento invernale lasciato da Monica e Danilo. Quei visi seri e riservati, tipici di queste popolazioni, ci offrono un sorriso radioso.
Dalla moglie di un pescatore compriamo 1 kg di centolla appena cotta e pulita. Le granseole abbondano nei canali cileni, le si vede spesso anche in acque basse, dove basta allungare il braccio per prenderle, ma le più grandi si trovano a profondità maggiori.
1 kg è una quantità esagerata per noi due, ne mangeremo a pranzo e cena per qualche giorno!


Una ventina di miglia a nord di Puerto Eden incrociamo un fiordo che si infila profondamente nella cordigliera, il Seno Iceberg. È la nostra ultima possibilità di vedere un ghiacciaio patagonico. Risaliamo il fiordo per 15 miglia e alla fine appare ai nostri occhi increduli.
La vista è maestosa, il ghiacciaio costellato di pinnacoli ben definiti termina con una parete a picco sul mare di un blu intenso e profondo come non avevamo mai visto prima. Riusciamo ad avvicinarci bene, ci sono dei growlers abbastanza ben distanziati. Ci facciamo largo con delicatezza, cercando di spingerli di lato evitando che i più piccoli finiscano sotto la barca. Rispetto alla foto satellitare il ghiacciaio deve essersi ritirato di un buon centinaio di metri, facendo emergere uno scoglio che ora si trova proprio di fronte alla parete.

La nostra traccia




Mettiamo in acqua il gommone per fare qualche foto e saliamo in testa d’albero per farne altre. Siamo incantati da tanta bellezza.




  
Di tanto in tanto sentiamo dei botti che preannunciano il distacco di un pezzo di ghiaccio e della sua caduta in mare. Poco prima di andar via il profondo ruggito di un leone marino attira la nostra attenzione, lo vediamo in acqua proprio sotto la parete di ghiaccio. Chissà se ce l’ha con noi…
Dopo un paio d’ore ci allontaniamo con rammarico, potremmo stare giornate intere ad osservare questo spettacolo.


Alla fine del Canal Messier ci fermiamo qualche giorno ad aspettare le buone condizioni per attraversare il Golfo di Penas, un tratto di mare da affrontare con cautela per la pericolosità delle onde che su questa costa concludono la loro lunga corsa oceanica. Nei giorni piovosi e ventosi di sosta a Caleta Lamento del Indio ci tiene compagnia una curiosa femmina di leone marino. Un giorno arriva anche un piccolo peschereccio, Reloncavi, con tre ragazzi a bordo. Mettiamo qualche parabordo e si affiancano a noi. Li invitiamo e ci raccontano del loro duro lavoro. Fanno prevalentemente pesca subacquea, utilizzando il narghilè, per prendere delle lumache di mare molto pregiate che chiamano Loco; con la stessa tecnica raccolgono anche delle alghe rosse che vengono utilizzate in cosmesi. Con i palamiti verticali invece pescano  prevalentemente merluzzi.
Quando finalmente il vento gira a sud-ovest, partiamo insieme ai nostri nuovi amici pescatori.
 


Con la navigazione nel Golfo di Penas e l’arrivo a Chiloé si chiude definitivamente il capitolo dei canali cileni. Dopo aver trascorso mesi nel fondo valle, l’orizzonte improvvisamente si apre. Complice anche la bella giornata siamo quasi abbagliati dalla luce.  In mare aperto finalmente troviamo il vento favorevole, issiamo le vele e ZoomaX cavalca felice le onde. È una sensazione liberatoria, come correre in un prato a perdifiato.
Dopo due giorni di navigazione avvistiamo l’isola di Chiloé. Con la sua conformazione dolce, collinare, con i boschi che si alternano alle praterie dove pascolano greggi di pecore, ci ricorda l’arrivo in Nuova Zelanda nella zona di Opua e Bay of Islands.
Piccoli villaggi e fattorie sparse ci reintroducono dolcemente alla civiltà, dopo un mese e mezzo di quasi totale isolamento.  




Vediamo tanti uccelli di varie specie, tra i quali  albatri, pellicani, cormorani imperiali, e ritroviamo i cigni dal collo nero che avevamo visto a Caleta Horno, tutti probabilmente attirati nelle acque di Chiloé  dalla intensa attività di allevamento di salmoni e molluschi.





Arrivando a Castro, capoluogo dell’arcipelago, ancoriamo davanti alle palafitte che caratterizzano il lungomare della cittadina.






Interessante anche la Iglesia San Francisco de Castro, con l’interno totalmente rivestito in legno, Patrimonio dell’Umanità insieme ad altre 15 chiese sparse sull’isola.



A Mechuque, una piccola isola dell’arcipelago, facciamo due passi in un villaggio di pescatori d’altri tempi, dove le case sono tutte rivestite con le ‘tejuelas’ di legno.
 


È la nostra ultima tappa, ancora 60 miglia di tranquilla navigazione ed arriviamo a Puerto Montt.

E ora si torna ai tropici!
Sulla rotta per la Polinesia, speriamo di poter fare tappa a Juan Fernandéz (l’isola di Robinson Crusoe) e all’Isola di Pasqua. In questo tratto ci accompagneranno Massimo e Sandra, con i quali abbiamo già condiviso varie tappe in Pacifico durante il primo giro del mondo. Allora loro navigavano sul Kenta, uno splendido Swan 65 che portarono fino in Australia. Non vediamo l’ora di navigare finalmente insieme!


A conclusione di questo post, vorremmo citare e salutare tutti i nuovi amici che abbiamo conosciuto durante la navigazione in Sud America,  alcuni sono già qui a Puerto Montt, altri sono in navigazione nei canali, altri sono ancora fermi in Argentina.
Con loro abbiamo condiviso alcuni momenti di questa esperienza indimenticabile.

DADA TUX, Hansueli & Helen, Garcia 45 Explorer, Svizzera
ALOMA, Walter & Roswitha, Reinke-13M, Germania
ROMLEA, Henk & Thea, Oyster 48 LW, Olanda
ITHACA, Pierre, Ping & kids, …, Sud Africa
PAZZO, Willy & Cindy, Oyster 48 LW, USA
KAMASTERN, Ernst & Margritt, Garcia 45 Explorer, Svizzera
MARAMALDA, Dani & Rita, HR 43, Svizzera
LUCIPARA 2, Ivar & FLoris, Buchanan 47 ketch, Olanda
LAURELINE, Emmanuel, Ovni 435, Francia
ST MICHEL, Joachim, Damien, Germania
GETAWAY, Kaj, …, Danimarca
THRESHOLD, Custom Chuck Paine/Kanter Yachts, Steve & Karyn, USA

Fair winds and safe sail to all of you!

Seguite la nostra traversata oceanica, cliccando sulla mappa in alto a destra.